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Le proposte del Centro di Coordinamento RAEE per recuperare il ritardo nella raccolta

Nonostante la narrazione che vuole l’Italia campione del riciclo, su un settore fondamentale come i RAEE siamo molto indietro rispetto ai target europei. Come colmare questo gap? Lo abbiamo chiesto a Alberto Canni Ferrari, presidente del CdC RAEE. “Servono semplificazioni per i produttori”

Nell’Italia campione europea del riciclo (ormai lo sentiamo ripetere molto spesso) risultati meno incoraggianti arrivano dalla filiera che si candida a diventare tra le più strategiche: quella dei rifiuti elettrici ed elettronici (i RAEE) dai quali col riciclo si possono ricavare proprio le materie prime che l’Europa ha definito strategiche perché essenziali al nostro sistema produttivo e alla transizione ecologica.

“L’Italia è in ritardo sugli obiettivi di raccolta dei RAEE previsti a livello europeo”, leggiamo nell’ultimo rapporto ufficiale presentato dal Centro di Coordinamento RAEE (CdC RAEE), dal quale emerge che “il tasso di raccolta dei rifiuti tecnologici lo scorso anno si attesta al 34,01%, molto lontano dal target europeo del 65%”. Anche di questo si occuperà l’incontro “RAEE e materie prime critiche: la via obbligata delle miniere urbane”, che EconomiaCircolare.com ha organizzato per domattina a Ecomondo.

Per provare a capire come l’Italia possa recuperare il proprio ritardo e come possa valorizzare le proprie miniere urbane grazie a un cambio di paradigma rispetto all’estrattivismo che tanti danni ha procurato al pianeta, abbiamo chiesto lumi ad Alberto Canni Ferrari, presidente del Centro di Coordinamento RAEE.

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Dottor Canni Ferrari, come ENEA ha spiegato qualche tempo fa, la maggior parte delle proposte finanziate (circa il 90%) per i progetti faro del PNRR relativi ai rifiuti elettrici ed elettronici riguarda impianti che non prevedono il recupero delle materie prima critiche. Se nemmeno il Piano di ripresa e resilienza riesce a mettere mano al ritardo impiantistico nazionale, come compenseremo il gap rispetto ai nostri bisogni attuali e futuri?

Per le infrastrutture servono sicuramente degli investimenti, per cui soprattutto le piccole e medie imprese hanno bisogno di aiuto per strutturarsi e dotarsi delle tecnologie necessarie.

Intende investimenti pubblici?

Anche investimenti pubblici, ad esempio forme di incentivo per aiutare gli imprenditori a dotarsi delle apparecchiature necessarie. Comunque a livello impiantistico siamo posizionati molto bene anche rispetto al resto d’Europa: ci sono impianti ottimi, forse al Centro Sud andrebbe fatto qualcosa in più.

Ma non c’è solo il tema degli impianti di trattamento, probabilmente il PNNR avrebbe dovuto occuparsi anche della fase della raccolta: rendere più presenti e diffusi i centri di raccolta per i RAEE è utile a intercettare il rifiuto e può svolgere anche una funzione di incentivo: se ho un punto di raccolta vicino casa sono invogliato a comportarmi in maniera virtuosa e a non fare ricorso a canali paralleli e illegali.

Mi dice che dal punto di vista degli impianti siamo messi molto bene, ma per quanto ne so in Italia non abbiamo ad esempio il riciclo idrometallurgico, quello più avanzato per rimettere in circoli i materiali più preziosi come le terre rare.

È vero, anche di questo tema abbiamo discusso nel convegno organizzato dal CdC RAEE a settembre. Il fatto è che in Italia non ci sono ancora i volumi perché un imprenditore faccia un investimento del genere, quindi dobbiamo far riferimento ad impianti all’estero.

E proprio a questo proposito, durante il convegno che le citavo, ASSORAEE ha posto il tema delle esportazioni transfrontaliere. Da un lato spesso vengono esportati rifiuti che magari sono occultati come prodotti usati, e che quindi finiscono in filiere non corrette e addirittura illegali: per questo abbiamo chiesto controlli più serrati. Ma per aumentare il riciclo e trattare certe frazioni, gli impianti sono solo all’estero, magari in Giappone, di conseguenza chi invece vuole spingersi molto avanti nella percentuale di riciclo deve esportare, nella legalità.

Eppure proprio l’esportazione può diventare una sorta di imbuto, perché a volte i controlli transfrontalieri fanno rallentare i processi e creano problemi burocratici e amministrativi. Quindi per non ostacolare il riciclo, durante il convegno si ragionava sulla possibilità di agevolare gli operatori tracciati e conosciuti e fare in modo che per loro le esportazioni, sempre controllate, siano più semplici.

L’Italia è lontana dai tassi di raccolta che ci siamo dati come obiettivo a livello europeo. Durante il vostro convegno avete puntato il dito sui canali illegali e sul cosiddetto free riding: i ritardi nella raccolta sono legati a questi fenomeni?

Quello dei tassi di raccolta è sicuramente un problema, ma le cause sono molteplici.
Il free riding, ad esempio, è un problema che nasce nel momento dell’immissione di un apparecchio elettrico o elettronico sul mercato: ci sono aziende che non sono iscritte al registro nazionale e, nonostante questo sia un prerequisito, immettono ugualmente sul mercato le apparecchiature. Questo è un danno perché una parte del finanziamento necessario per gestire il fine vita dei RAEE viene a mancare. Ribadisco, senza registrarsi come produttori questi soggetti non potrebbero vendere perché questo è uno dei prerequisiti.

Chi sono questi soggetti? Le piattaforme di ecommerce, ad esempio?

Quanto alle piattaforme c’è stato un accordo di programma con Amazon e la soluzione verrà trovata a breve. Ma quello del free riding è un problema più generale. Magari riguarda aziende piccole e poco strutturate che vendono dall’estero con shop online (e quindi non attraverso una piattaforma) e che non conoscendo compiutamente le norme nazionali vendono senza essere in regola.

Ma uno dei problemi del nostro Paese, mi corregga se sbaglio, è che gli italiani ancora non sanno che i RAEE sono riciclabili [almeno così risulta da un sondaggio Ipsos-Legambiente). L’informazione ai cittadini è dunque fondamentale: le organizzazioni che riuniscono i produttori e li assistono nell’essere in linea coi dettami della responsabilità estesa (PRO – Producer Responsibility Organization) sono tenute per legge a fare informazione. Ne fanno abbastanza? La fanno abbastanza bene? Come possiamo rimediare questa colossale lacuna informativa?

Credo di sì. Gli investimenti in comunicazione ricadono nell’accordo di programma: il CdC RAEE ha messo in campo da anni campagne di comunicazione, prima di tutto per spiegare agli italiani che cos’è un RAEE: cosa non così semplice, visto che si va dallo spazzolino elettrico alle lavatrici, dai giocattoli fino alle scarpe con la lucina. Per questo è comprensibile che le persone non si orientino. Il nostro compito è fare comunicazione. Lo facciamo abbastanza? Probabilmente bisogna fare di più.

 

di Daniele Di Stefano

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