Il documentario Materia Viva, prodotto da Erion WEEE con Libero Produzioni e in programmazione su RAI 3 il prossimo 31 agosto alle 22, è un appello corale a coniugare sviluppo tecnologico e sostenibilità ambientale. Tra i tanti artisti, esperti e addetti ai lavori che contribuiscono a costruire questo viaggio dentro il mondo delle apparecchiature elettriche ed elettroniche e del loro ciclo di vita c’è Luca Perri. Astrofisico, divulgatore e autore di libri molto apprezzati, Perri utilizza tutti i media possibili per sfatare luoghi comuni sulla scienza e per sensibilizzare il grande pubblico senza rinunciare a strappare una risata. In questo scambio di idee con EconomiaCircolare.com, lo scienziato approfondisce, tra l’altro, la riflessione sul ruolo che può svolgere un documentario come Materia Viva, e più in generale ogni contenuto divulgativo, per rispondere in maniera efficace alla crisi climatica.
Luca Perri, che cosa ci fa un astrofisico e divulgatore scientifico in un docufilm sugli impatti e sul riciclo delle apparecchiature elettriche ed elettroniche?
Bella domanda (sorride)! Le vie attraverso cui ci sono arrivato sono molteplici. Innanzitutto, lavorando nell’industria dell’aerospazio, che è tra quelle che utilizzano più materie prime critiche in assoluto, la mia ricerca sullo sviluppo tecnologico non poteva non soffermarsi anche su questo aspetto. Poi ha contribuito un lavoro che ho portato avanti nel corso degli anni con Serena Giacomin, meteorologa e climatologa coinvolta peraltro anche nel docufilm Materia Viva: da diverso tempo collaboriamo per monitorare la comunicazione in materia di crisi climatica e di sostenibilità ambientale in generale, cercando di individuare a smascherare le bufale e le dinamiche della disinformazione. Da qui è nata l’attenzione alla questione RAEE e la partecipazione a Materia Viva.
Quali sono a suo avviso i criteri in base ai quali si dovrebbero progettare, immettere sul mercato e “smaltire” queste apparecchiature?
Fortunatamente si fa sempre più largo il concetto di ecodesign: chi progetta un oggetto o un servizio deve andare oltre il concetto, sacrosanto, di efficienza e quindi di vantaggio economico per l’impresa, ma deve considerare l’intero ciclo di vita, dall’approvvigionamento dei materiali a ciò che accade dopo la fine della vita utile. La responsabilità dell’azienda produttrice non si ferma nel momento in cui l’utente acquista il prodotto ma prosegue: quel prodotto non solo deve assicurare un ciclo di vita più lungo possibile, ma soprattutto deve essere concepito in modo tale da essere facilmente smontabile e riparabile e facilmente disassemblabile alla fine dell’utilizzo, in modo che possa essere riciclato.
Da decenni ormai la comunità scientifica lancia allarmi sulle conseguenze della crisi climatica e ambientale e lei stesso nel film descrive il debito ecologico del Pianeta e parla tra l’altro dell’Overshoot day. Perché a suo avviso questi allarmi ancora non producono una radicale revisione delle condotte personali e delle scelte di istituzioni e imprese?
Questa è la domanda da 100 milioni di dollari! In realtà ci sono diverse motivazioni al perché non agiamo. La prima è che l’essere umano da sempre affronta il problema nell’attimo in cui questo si presenta: i nostri meccanismi mentali tendono a premiare un guadagno immediato rispetto a un guadagno futuro. Faccio un esempio: se apro il frigo e trovo un pasticcino dirò “vabbè, la dieta la inizio la prossima volta” e prendo il pasticcino, anche se questo crea un problema nel medio termine. A questo aggiungiamo che in realtà adottare delle contromisure sulla crisi climatica vorrebbe dire assumersi le responsabilità di ciò che abbiamo fatto in passato. A nessuno piace sentirsi dire di aver sbagliato tutto fino a questo momento: vale per le persone ma vale anche per le istituzioni, che per di più hanno un ulteriore problema. Imporre misure efficaci per contrastare la crisi climatica oggi significa prendersi le lamentele mentre i vantaggi arriveranno sul lungo periodo, quando al governo ci sarà qualcun altro. Infine, dobbiamo riconoscere che quando ci viene chiesto di cambiare un’abitudine tendiamo a vedere questa cosa come un sacrificio e non come un investimento per il futuro. Non mangiare il pasticcino nel frigo, per tornare all’esempio, non è percepito come un investimento sulla salute ma piuttosto come un sacrificio. Su queste dinamiche si innesta poi il lavorio dei “mercanti del dubbio”, entità che traggono vantaggio nell’impedire l’azione da parte della società e delle istituzioni e quindi diffondono il dubbio e bloccano il cambiamento.
A proposito di mercanti del dubbio, lei passa buona parte del suo tempo a parlare di scienza e a smontare falsi miti scientifici, affiancando rigore e ironia. Può essere questa una chiave per ottenere dei cambiamenti e di che tipo di cambiamenti si tratta?
Partiamo col presupposto che io tendo ad affiancare l’ironia perché non so stare serio più di 2 minuti, quindi questa è una mia caratteristica: non so dire se è un problema o un vantaggio. L’ironia per me è una necessità, ma c’è da dire che diversi studi cognitivi dimostrano che un pubblico con un atteggiamento emotivo per così dire positivo è più disposto a recepire delle informazioni.
Certo, ci sono momenti in cui serve essere seri, come davanti alle conseguenze della crisi climatica, ma questo non vuol dire avere un atteggiamento che spaventi le persone. L’ironia aiuta anche a evitare che una persona si chiuda a riccio pensando che tutto sia perduto: quell’atteggiamento rinunciatario andrebbe solo nella direzione della volontà dei mercanti del dubbio. Ecco, essere ironici può aiutare il pubblico a recepire meglio le informazioni: allora ben venga l’ironia!
di Redazione EconomiaCircolare.com